sabato 14 febbraio 2015

Stasera sul web: giovane e ribelle!


Sono contenta. L'idea di suggerire qualcosa da vedere in streaming (cioè al computer...) è piaciuta. Lo so, stasera c'è la serata finale di Sanremo. So anche che ci sono ascolti record! 48% di share! Caspita... Io però mi preoccupo di quei 52% di non-share... che non trovano pace e cercano invano qualcosa di alternativo in tv. Se non trovate nulla, accogliete la mia proposta. Se non potete proprio oggi, perché in effetti stasera c'è tanta carne al fuoco (Sanremo, la partita del Napoli e Gomorra - la serie), sarà per un'altra volta. Tanto il web è per sempre, o meglio, finché link non ci separi.

Il video che vi propongo è la storia di Franco Basaglia e di come cambiò per sempre

il mondo della psichiatria. Si intitola C'era una volta la città dei matti, proprio come inizia di solito una favola. E proprio come una favola ha un lieto fine. La regia è del Maestro Marco Turco a cui va tutta la mia gratitudine di spettatrice in quanto ha saputo ricreare sul set la complessità e la verità di un tema così difficile da affrontare e descrivere. 

Vi racconto il perché delle sue scelte. Per ricreare la verità storica ha raccolto testimonianze dirette dell'esperienza basagliana, tutte quelle disponibili. Per costruire l'ambiente scenico ha riorganizzato gli spazi dell'ospedale psichiatrico per come le fonti fotografiche testimoniano. La storia si svolge per lo più tra Venezia, Gorizia e Trieste; per dare autenticità linguistica ha scelto attori e comparse del veneto e del friuli. Agli attori principali non provenienti da queste zone è stato chiesto di imparare il dialetto e la cadenza tipica delle lingue parlate in quei luoghi. Straordinario il cast; l'interpretazione impeccabile. Per ricostruire la realtà mutata del dopo Basaglia ha coinvolto le associazioni e le cooperative che hanno creato la rete di servizi per la salute mentale tanto cara a Basaglia e nel sito della Rai dedicato al film motiva e racconta questa scelta con queste parole:

<< Con l’aiuto dei miei assistenti eravamo riusciti a coinvolgere varie associazioni e cooperative teatrali legate ai centri di salute mentale delle zone dove giravamo, cosicché le figurazioni del film erano tutte persone che avevano e hanno a che fare con il disagio mentale e che in qualche modo erano venute a rivivere la loro storia. La presenza costante sul set di tante persone "affette da disagio mentale" che interpretavano loro stesse a fianco dei tecnici e degli attori ha creato un’atmosfera straordinaria. Vivere insieme questa esperienza ha cambiato la vita di entrambi. Al di là di quello che si dirà del film e del suo valore che non sta a me giudicare, io ho avuto chiara la sensazione che qualcosa di bello sia avvenuto e l’ho avuta un giorno durante la pausa, alla mensa del set, dove una ragazza, con evidenti problemi di anoressia, nel suo camicione grigio, seduta al tavolo con i tecnici e altri suoi compagni, mangiava con gusto e sorrideva felice.>> Marco Turco. 

Ma chi finiva in manicomio? Verrebbe da pensare persone violente, aggressive. No, almeno non solo. Bastava davvero poco per finire nella Città dei matti. Non mangi, sei anoressica? Dentro. Sei vedova e non riesci a riallacciarti alla vita a causa di questo doloroso lutto? Dentro. Hai vissuto un grosso trauma (violenza in famiglia, guerra, terremoto) e non riesci a superarlo? Dentro. Sei lesbica, gay? Dentro. Tutto quello che agli occhi dei più appariva illogico era sicuramente imputabile alla pazzia, non a un bisogno o a una scelta. Con queste premesse è comprensibile capire perché chiamavano il manicomio la città e non il villaggio dei matti.

Il filo conduttore del film è sicuramente l'Amore: l'amore per il proprio lavoro, l'amore dei pazienti per la vita normale bruscamente interrotta. I primi 15 minuti del film sono i più difficili da guardare. Sono scene artificiosamente autentiche. Raccontano di una ragazza adolescente, Margherita, che comincia a manifestare interesse per i ragazzi. La madre pensa di "curarla" facendola internare. Sì, perché dal suo punto di vista di donna stuprata non è possibile avere una relazione affettuosa con un uomo. La vita di Margherita cambierà così, all'improvviso, senza un disturbo da curare. E' questo brusco passaggio, dalla vita di tutti i giorni a quella del manicomio, che turba. Le pratiche rudi da manicomio sono quello che sono: crudeli e storicamente autentiche. Sono figlie della cultura medico-scientifica del tempo. E considerate che prima di Basaglia nessuno, e sottolineo proprio nessuno, metteva in dubbio l'efficacia di queste barbare pratiche. Aveva poco più di trent'anni quando divenne direttore del manicomio di Gorizia e lì diede vita a quello in cui credeva. Questo film racconta l'importanza di saper dire di no, anche quando sembra più saggio e comodo dire di sì e conformarsi.

Basaglia ricorda a se stesso che per Platone l'amore era una grave forma malattia mentale. E in effetti per amore corriamo rischi che gente più assennata e indolente non corre. Perdiamo appetito, sonno, interesse per le vecchie abitudini. E questo succede perché il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce (Pascal).
Perché è importante guardare questo film? perché noi siamo "animali sociali" (Aristotele). Qualsiasi sia il problema è affrontandolo insieme ad altri che possiamo risolverlo. Difficilmente da soli se ne esce e il primo passo è parlarne. 

C'era una volta la città dei matti, dura 3h e11 minuti divise in due puntate. Questo è il sito della Rai per saperne di più sul film e sulla legge Basaglia. 

Buona visione :-) 



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