lunedì 20 giugno 2016

Ma tu non eri quella che...?




Il penultimo giorno di scuola, durante la mostra di fine anno, ho rivisto alcuni bambini che avevo conosciuto in prima elementare. Adesso vanno in terza... sono grandi  :-) Uno di quelli più vivaci si avvicina e mi sfida: "maestra, ti ricordi di me?". Per nulla turbata dalla domanda rispondo: "certo che mi ricordo di te! Tu sei Ciro, Ciro S. di Fontana (il comune dove frequenta la primaria)". Una sua compagnetta si fa avanti e chiede: "e perché ti ricordi lui? Perché ti faceva disperare?". Sì, è vero, Ciro è un bambino vivace, mi ha reso un po' la giornata difficile, ma è anche un bambino gentile e generoso... Rispondo: "No... io me lo ricordo perché ha dei grandi occhi verdi!". Poi però ricambio la sfida...
"E voi vi ricordate di me?". "Tu sei quella maestra che ci raccontava le favole in inglese di Peppa Pig!!!". Sono passati anni e ancora se lo ricorda... mi sento sorpresa e lusingata. "Perché non sei venuta più? Noi abbiamo fatto i bravi!". Perché io dicevo sempre che sarei tornata se si fossero comportati bene. Non funziona così, ma se fanno i bravi male non fa. "Tesoro, perché quest'anno ho lavorato in questa scuola. Magari ci incontriamo l'anno prossimo...". 

Nonostante abbia cumulato pochi giorni di supplenza, soprattutto negli anni passati, non ho dimenticato i loro volti e di qualcuno anche il nome. E loro lo stesso... ovunque li incontrassi mi regalavano abbracci affettuosi, sorrisi e saluti. Perché i bambini sono così: se dai loro il massimo lo apprezzano, lo ricambiano e non se lo dimenticano. 
C'è anche da dire che ho preso molto seriamente la didattica ludica, imposto le mie lezioni in modo creativo e partecipativo... ed evidentemente piace oltre che a dare i suoi frutti.

Non è sempre stato così. Da studentessa dicevo: io non farò MAI l'insegnante. Assolutamente no. Tutto tranne... e invece? Mi sbagliavo. Avevo solo 16/17 anni... ero pure timida. Avendo frequentato il magistrale il mio terrore era dover affrontare una lezione simulata davanti i bambini e alle mie prof. In classe l'ora di metodologia era sempre una tragedia... Era un continuo (per tutte...) "non l'hai detto bene, così il bambino non capisce, così lo confondi...". Potevi anche andare interrogata volontaria pensando di aver studiato bene e tornare al banco con quattro. Sinceramente pensavo, se insegnare significa essere mortificata in quel modo... No, grazie... faccio altro. La professoressa di metodologia che affiancava una nostra professoressa era una maestra delle elementari con almeno 25 anni di esperienza che metteva a disposizione le sue competenze. Quindi di bambini (bravi e meno bravi, iperattivi e svogliati, lenti e veri geni) ne aveva visti a profusione...

Le prof non erano in errore, per niente. I bambini leggono la realtà in modo diverso rispetto agli adulti e delle future maestre devono tenerlo in conto. A volte gli adulti, i genitori ad esempio, hanno delle competenze (fare l'analisi logica, sommare e sottrarre, dividere e moltiplicare) ma non ricordano il lungo percorso che hanno dovuto fare per imparare. Per questo a volte non si capiscono! Per capire e imparare ci sono delle tappe che portano il bambino dall'esempio concreto al concetto astratto e vanno rispettate. Altrimenti lo studentello perde il suo filo logico e si disorienta. E poi ogni bambino è a sé, giusto per affettare un po' la complessità.

E quella storia che "non puoi proporre la stessa identica lezione in classi diverse" sembrava una favoletta invece è terribilmente vera. Se durante una supplenza avevo tre, quattro classi, dovevo ogni volta adattare e calibrare il progetto "lezione" per una quinta, una terza, una prima e una quarta... la cosa stranissima è che può succedere con due terze o con due quinte... misteri della didattica. Ma sono cose che si comprendono con la pratica, i libri lo dicono ma tu non ci credi... finché non lo vedi!

Un giorno confidai a mia cugina Annalisa - maestra per scelta e vocazione - che avevo rinunciato ad una supplenza di inglese perché era in prima... "Annalì, quelli non sanno scrivere, non sanno leggere... Che ci vado a fare?!". "Ma sei pazza? In prima gli fai sentire cinque parole, anche quattro... ti inventi un gioco, il tempo che lo fanno bene tutti  è finita l'ora!". Ed io turbata: "e me ne posso andare?". "Se hai finito sì, ma forse chi sostituisci avrà più di un'ora in prima, non è così?". Silenzio... "Ma che pensi che ti mangiano?! I comunisti mangiavano i bambini, non il contrario!". :-) Mi strappò la promessa che la prossima volta sarei andata, con spirito d'avventura, a vedere se insegnare era così terribilmente spaventoso come pensavo.

E così, la volta successiva, andai in una quinta - la prima quinta non si scorda mai... - ma questa è un'altra storia, bella. Quel giorno tornai a casa stanca ma intera... e volta dopo volta, andava sempre meglio perché mi sentivo sempre più a mio agio. Ed era davvero commovente vedere i miei alunni gridarmi: "Da noi! Da noi!". Che delusione se non era prevista la supplenza anche da loro... Qualche bambino addirittura si affacciava nella classe dove stavo lavorando per vedere "se c'ero veramente!". Almeno a pranzo o nell'intervallo passavo a salutarli... a sentire come va?
Mi piace dire, e credo di non esagerare, che faccio la maestra perché mi hanno scelta i bambini. La segreteria è solo una procedura tecnica.

E così ho imparato che nella vita non sai quello che vuoi veramente finché non lo vivi. 


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