martedì 3 marzo 2015

Graditi Contratti Vintage


Ci sono momenti in cui anche i più ottimisti si fermano e riflettono mettendo sul tavolo della discussione non solo le certezze e le speranze, ma soprattutto i dubbi. Ieri sera mi sono posta un sacco di domande. Mi sono chiesta se viviamo la nostra vita per come vorremmo o per quello che ci è concesso, quello che ci è capitato.

Lo so, sono domande scomode che vanno a rispolverare i sogni nel cassetto. Ammesso che il cassetto si apra ancora. La mia generazione si sente tradita. Basta fare il confronto con i propri genitori e il disagio diventa palpabile. Cosa avevano realizzato i miei a 35 anni?
Nel 1990 i miei erano già sposati da dieci anni, avevano già due figlie, un lavoro fisso da impiegata e un altro da elettricista, più qualche supplenza. Pagavano il mutuo per la casa, e compravano una seconda utilitaria, nuova, a rate. Vacanze: una settimana al mare in mezza pensione a luglio a Licata. Non male per una famiglia dell'entroterra ennese. Possono essere fieri di loro stessi.

I genitori della mia generazione si assomigliano. Generalmente meno istruiti rispetto i figli, eppure offrivano più certezze al loro futuro. Chi lavorava nei campi, chi in miniera, chi era un piccolo artigiano, chi faceva la maestra, la sarta, l'operaia, l'impiegata. La mattina si svegliano, indossavano la loro consueta "divisa" da lavoro e iniziavano la loro giornata. Sacrifici? Tutti quelli che riuscite a immaginare. Soddisfazioni? Ogni tanto qualcuna.

Da piccoli ci dicevano che studiare non era importante, era fondamentale. A scuola ipotizzavano scenari apocalittici per chi non faceva il suo dovere di studente e non raggiungeva almeno il diploma. Per questa ragione ci siamo diplomati, laureati una o più volte, abbiamo frequentato corsi, stage e partecipato a sporadici concorsi. L'apocalisse meglio vederla più in là possibile, no?

Eppure nel limbo infinito del "lavoretto per il momento", del progetto educativo da finanziare, dello stage come esperienza ci siamo impantanati un po' tutti. E non ne usciremo perché la legge adesso dice che di co.co.pro non se ne possono più fare dal 2016. Tutta questa serie infinita di contratti a tutele inesistenti hanno creato una cultura e hanno fatto scuola.

Mi sono trovata a parlare con un commercialista che mi ha confidato che il contratto a progetto, certo un po' forzando la forma, va bene anche per le commesse nei negozi. Va bene per chi le assume ovviamente. Mi sono stupita e ho chiesto come fosse possibile. Il contratto a progetto non prevede orari, non ha una sede di lavoro e il lavoratore gestisce il progetto in autonomia. La commessa come fa? Il negozio ha sede, orari di apertura e chiusura. E poi quale sarebbe "il progetto"? Riassortire gli scaffali? Far pagare ai clienti la merce che vogliono comprare? Il mio è un lavoro a progetto: devo tradurre un testo, un sito, devo scrivere un articolo, una recensione; certamente ho una data di scadenza da rispettare, ma posso lavorare un giorno solo o in una settimana, a casa o in macchina, perfino in vacanza se è urgente. E proprio perché tutto dipende dal progetto devi contrattare tutto, anche il tempo che ti concedi per rileggere e correggere, se occorre una consulenza per il revisore. Non esiste un contratto nazionale per traduttori e scrittori, si chiama libero mercato, non ci sono tariffe minime e massime. Per certi versi è proprio il Far West, ma questo è il mercato italiano.

Perché dico che questi contratti hanno fatto scuola? Perché adesso sono considerati imprescindibili. Una volta, (nel 2009? bho) feci un colloquio di lavoro in un istituto di restauro all'interno del Castello Aragonese (vedi foto). Cercavano qualcuno che si occupasse delle bollette, delle iscrizioni degli studenti, della cura e preparazione di collaborazioni con altri istituti di restauro in Europa. Avrei dovuto cercare questi istituti, contattarli per conto del direttore, fare da interprete eng /fr al direttore... mancava solo che preparassi il pranzo per la mensa ai ragazzi e mi sarei sentita completa. "No, i ragazzi mangiano un panino..." Sospiro di sollievo. Parliamo di contratto. Si trattava di un part time di tre, quattro ore al giorno per tre giorni alla settimana, salvo "eventi". La segreteria era aperta due giorni su tre al pubblico. Però, ci tennero a precisare, "se serve deve essere reperibile e a disposizione degli studenti stranieri" (leggi: anche fuori gli orari di ufficio). Ma è giusto. Se c'è un corso aperto agli studenti stranieri è giusto dargli un punto di riferimento. Tanta disponibilità comunque avrebbe avuto luogo il tempo ristretto dei corsi internazionali, al massimo tre volte l'anno. In sintesi: contratto a progetto e 250€ al mese.

Timidamente feci notare che è un lavoro di segreteria e che non c'era un progetto. "Noi facciamo solo contratti a progetto". "Ma voi siete restauratori. C'è un quadro da restaurare, lo restaurate e quando avete finito... pronti per un nuovo progetto. Quello che cercate è una segretaria, o no?". "No... mmm... chiederemo al nostro commercialista".

Lo sanno tutti che il commercialista dà sempre buoni consigli. Io avrei accettato anche per 200€ ma con il contratto corretto. Sembra poco ma io non avevo alcuna esperienza, partivo veramente da zero. Tuttavia era il mio settore - lingue e comunicazione - e poi avrei avuto il piacere di lavorare in un posto meraviglioso, un castello!, e nel mondo dell'arte. Avrei maturato molta esperienza e chissà che non ci usciva qualche trasferta nelle capitali europee. Come è finita? Che mi faranno sapere. Aspetto fiduciosa, anch'io.

Perché ha avuto tanto successo il co.co.pro. in Italia? Perché è una vera pacchia per chi assume. Ben inteso:  il cocopro è uno strumento, ma è l'uso distorto e senza controlli che lo ha reso una pacchia. Stai male? Se stai a casa non sei pagato, se sei a lavoro invece sì, sempre se hanno l'abitudine di pagarti. Vuoi le ferie? Non sono previste. Ti sposi, vuoi il concedo matrimoniale? Potresti goderne solo in un caso: se sposi il capo. Sei incinta? Non sarebbe un problema visto non è prevista una sede o un orario, o sono previsti? E ancora esiste per le donne la possibilità di dover firmare in bianco le proprie dimissioni. Come nell'800? Sì, ma con la connessione Internet. E se queste condizioni non ti piacciono... beh, il paese è pieno di giovani in cerca di opportunità di lavoro, lo sai vero? E a ogni rinnovo di contratto, se serve, si può sempre limare qualcosa.

Sono quasi vent'anni che certi contratti esistono. Ed ecco spiegato perché siamo più poveri di prospettive rispetto ai nostri vecchi. I loro contratti vintage erano corti e chiari. I diritti pochi ma buoni, e per tutti: per il novellino come per il veterano. I sacrifici assicurati, ma la fiducia nel futuro era tangibile. E non è che noi siamo più viziati, forse qualcuno, ma questa scusa non regge per un'intera generazione. Anche allora si sognava di possedere l'oggetto Status symbol. 50 anni fa era il frigorifero o il televisore, oggi lo smartphone. Qualcuno dice: ma perché non si può vivere senza smartphone? Certo, ma perché non si poteva vivere, 50 anni fa, senza frigo e tv? Prima non c'erano e non servivano. Oggi, frigo e tv, ce li abbiamo perfino in macchina. Vogliamo essere figli del nostro tempo e non c'è niente di male in questo.

In conclusione. Si dice che ogni scelta è una rinuncia. Perché scegliendo quello che vuoi escludi quello che non fa per te. Ma è vero anche il contrario? Ogni rinuncia è una scelta? No, ogni rinuncia è solo una rinuncia con un pezzetto di dolore in omaggio.

Perché le scelte importanti (la scelta di metter su famiglia, comprare casa, trasferirsi, cambiare lavoro, stare con le persone che ami, andare in vacanza, curarti) dipendono dalle possibilità reali che hai. Possibilità che la politica del tuo Paese ti offre e ti permette di realizzare. La politica dovrebbe avere il primato sul mercato. Cioè la politica deve creare le condizioni migliori per creare sviluppo, leale collaborazione tra impresa e lavoratore, leale concorrenza tra lavoratori e i mercati. E loro che fanno? Lasciano fare. Fanno le leggi per poi non controllare come sono applicate. E lasciano a noi il peso delle nostre rinunce.











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